• consiglioeuritmisti@gmail.com

Archivio annuale2017

Le mani di Franz Brentano e “La filosofia nel movimento”

“Quando Franz Brentano saliva sulla cattedra e si sistemava sul podio, là vi era tutta la filosofia che di solito si poteva ammirare in lui, in quel suo modo colmo di spirito, che si poteva esprimere mediante concetti, descrivere con astrazioni, e questa filosofia era molto più mirabile di tutto quello che Brentano stesso diceva; quel che egli avrebbe potuto dire veniva espresso nel modo in cui muoveva le braccia e le mani quando parlava, in cui teneva il foglio con gli appunti del discorso. Era un modo tutto particolare di muoversi che tendeva sempre a far fluire nel gesto, nel modo di tenere il foglio, qualcosa di importante e nello stesso tempo di indifferente. L’intera filosofia  si esprimeva in questo gesto che, in un’ora di conferenza, assumeva le forme più svariate.

Franz Brentano è noto per aver fondato una psicologia in cui diverge da tutti gli altri psicologi, da Spencer, da Stuart Mill e da altri per il fatto di non aver annoverato la volontà tra le categorie psicologiche. Ora io conosco tutte le dimostrazioni e trattazioni che Franz Brentano fece a proposito di questa teoria. Nessuna agisce su di me in modo tanto convincente quanto il modo in cui egli teneva in mano il foglio; nel momento in cui faceva il gesto con la mano, con il braccio, la volontà scompariva da tutte le sue argomentazioni filosofiche e, mentre svaniva la volontà, il sentimento e l’idea si dispiegavano in maniera potente. Questa preponderanza dell’idea e del sentimento e lo svanire della volontà erano insiti in ogni movimento che faceva con la mano. Così, se scrivessi un articolo su di lui, lo dovrei intitolare: “La filosofia di Franz Brentano quale si manifestava nel movimento, nell’intero gesto”.

Rudolf Steiner, Euritmia una presentazione – O.O. 279 – Ed. Antroposofica, Milano

Diplomi 2017: Movimento dappertutto…

La mia prima esperienza con l’euritmia la potei fare dieci anni fa, quando in VIII passai da una scuola statale a una scuola Waldorf. Oltre all’approccio pedagogico completamente diverso, aspettavo con ansia la lezione di euritmia e in un primo momento, comprensibilmente, rimasi piuttosto confusa. In una stanza tutta colorata di rosa, i miei nuovi compagni si muovevano su testi e musiche e, al contrario di me, parevano sapere tutti che cosa bisognasse fare. Io mi limitavo a imitarli e cercavo di riconoscervi un senso.
La mia insegnante di euritmia cercò di spiegarmi la materia, però non capivo che cosa ne dovessi trarre. Ma mi piaceva avere nella giornata di scuola qualcosa che non si rivolgesse solo al cervello. In quel momento eravamo un’unità e lavoravamo insieme in modo del tutto naturale. Potevamo lasciare da parte le reciproche difficoltà e creare qualcosa insieme.
Naturalmente allora non mi era chiaro. Se si viene catapultati così in una situazione scolastica, ci si limita a seguire, ma poi questa esperienza, soprattutto rispetto alla mia storia precedente nella scuola pubblica, fu per me di straordinario valore.
Durante gli anni scolastici, fino al termine degli studi, si radicò nelle mie aspettative per il futuro l’idea di stare una volta davanti a una classe e di poter offrire agli studenti la possibilità di lavorare insieme così, senza riserve. Quando in XII preparavamo il saggio finale di euritmia per rappresentarlo, avevo trovato un grande piacere nell’euritmia, perché non si trattava di un’arte rigida, ma vi era movimento ovunque. Si è liberi nelle possibilità espressive e in ciò che si vuole manifestare. Così non si ha l’obbligo di consacrarsi alla musica o al testo, perché non è quello il compito, ma si rappresenta il suono o il linguaggio. Si può, in un certo senso, prescindere da se stessi e abbandonarsi del tutto a ciò che risuona.
“…un ulteriore stimolo…”
Quando l’insegnante di euritmia mi disse che avrei potuto pensare a un corso di studi sull’euritmia, e mi raccontò alcune cose di quel corso, nel mio cuore ero sicura di volerlo fare. Così presentai domanda alla scuola di arte euritmica di Berlino. All’inizio era per me assolutamente sorprendente trascorrere le giornate in una lunga veste, però mi ci abituai alla svelta, accettandola come la quotidianità per una studentessa di euritmia.
Tra i vari momenti dedicati agli esercizi con le verghe, a quelli con i passi e con le vocali, ve ne fu uno in cui una studentessa del quarto anno ci mostrò come si cuce un abito da euritmia. Fin dalle lezioni di lavori manuali alla scuola Waldorf mi piacevano molto i lavori di quel tipo, ed ero perciò entusiasta di queste lezioni di cucito. E quando seppi che diverse indicazioni sui costumi riguardavano le forme date da Rudolf Steiner, divenni instancabile nel lavoro manuale. Trovai così un nuovo stimolo all’euritmia: i costumi.
Durante il secondo anno, mentre lavoravamo a semplici “forme del Dottore”, iniziai quindi a occuparmi delle indicazioni per i costumi. Esaminavo vecchie fotografie delle scene dal Faust, ed ero impressionata dalla varietà dei costumi. Avevo già imparato molto su pantaloni e casacche, sui diversi materiali e, dal terzo anno, sulle combinazioni di colori fra velo e abito. Volevo provare e sperimentare quanto più era possibile.
Ora nel quarto e ultimo anno di formazione, mi servii di tutto quel che avevo fatto e studiato per la mia tesi di diploma dal titolo: “I colori in euritmia”, e appresi qualcosa anche sulla funzione e le possibilità delle luci di scena.
Così posso parlare per esperienza personale quando dico che l’euritmia non si esaurisce nel movimento.
La mia impressione dei quattro anni di studi è che la complessità e varietà di quest’arte trovi un limite solo nella creatività di ognuno, perché lo studio dell’euritmia non termina quando si lascia la scuola.
Se si racconta ai propri amici che si studia euritmia, in genere la reazione è: “Ma che cos’è?”
Poiché la reazione normale a qualunque tentativo di spiegazione è di solito uno sguardo scettico, ho deciso di invitare le persone alla nostra rappresentazione finale. Diventano superflui i tentativi di spiegazione quando si è disposti a far agire su di sé uno spettacolo.
Certo oggi non è usuale leggere poesie o ascoltare musica classica, così ogni rappresentazione è una sfida; nonostante ciò ho fatto l’esperienza nella cerchia della mia famiglia e dei miei amici che essi, pur non potendo comprendere del tutto l’euritmia, ricevevano comunque un’impressione della sua efficacia.
È rimasta in me come un tempo la ferma convinzione di voler iniziare subito un’attività di insegnante e mi rallegro all’idea di offrire ad altri le cose imparate negli ultimi anni; spero davvero che anch’io potrò un giorno far entusiasmare uno o l’altro dei miei allievi come io stessa mi entusiasmai per questa materia quando frequentavo la scuola Waldorf.

Lisa Metze

Ho iniziato il mio corso di euritmia nel 2013. Ero venuta in contatto con l’euritmia e l’euritmia terapeutica già in precedenza nel 2006 nel Seminario interculturale per i giovani di Stoccarda. Avevo subito un incidente stradale e l’euritmia mi aveva aiutato a confrontarmi più consapevolmente con me stessa e con il mio corpo – sperimentando quanto fosse importante riuscire ancora a muoversi con le proprie forze. Avevo provato allora la sensazione non solo corporea, ma soprattutto interiore, di imparare a camminare. Si afferra se stessi e il proprio corpo.
A quel tempo decisi di frequentare una facoltà di economia che ho poi portato a termine. Mi sono accorta ben presto però che ero interessata molto poco agli aspetti tecnici, quanto piuttosto al modo in cui gli uomini cooperavano fra loro, a come funzionavano i processi lavorativi, a come  venivano  realizzate idee comuni. Erano tutti elementi che avevo trovato anche nell’euritmia. A poco a poco compresi perché portassi così tanto l’euritmia in me. La mia decisione di studiare euritmia non venne da un processo di maturazione, ma fu la conseguenza di una necessità interiore.
Lo studio mi ha offerto l’approfondimento di conoscenze sull’euritmia che speravo, ma con un’intensità che non mi aspettavo. Mi ha permesso di esprimere meglio le esperienze interiori che si provano ascoltando una musica o una poesia, e di renderle visibili. Ho imparato che l’anima di una persona può inserirsi in ogni nota, in ogni suono  e in ogni lettera  e che attraverso questa esperienza si possono studiare a fondo  le molte sfaccettature della vita animica, e quindi in ultima analisi della conoscenza umana. Nel confronto con una poesia o un brano musicale il corpo diviene strumento. L’euritmia penetra l’essere dell’uomo in quanto rende visibile attraverso il corpo i contenuti spirituali e le loro leggi.
Questo non significa che sia autoreferenziale. Al contrario. Ho vissuto come un grande lusso poter completare un secondo corso di studi ed essere in un continuo dialogo con i miei compagni. Infatti volevo collaborare con altre persone, considerarmi con loro in un comune processo formativo, e infine esservi veramente. Per quasi quattro anni ho lavorato a brani comuni con sei compagni – ogni giorno di nuovo, con risultati affascinanti. Vivere con gli altri nella medesima idea, nella medesima immagine, fino ad avere quasi lo stesso respiro, era e rimane un’esperienza straordinaria. Nell’euritmia è importante stabilire una consonanza tra udibile e visibile, trasformare esperienze animiche in immagini che si presentano al pubblico. Si impara a porre se stessi all’interno del movimento e diventa percepibile la peculiarità propria e dell’altro. Mi ha sempre impressionato come ci siamo riconosciuti pur nelle nostre diversità. Mi rallegro di poter ripetere di nuovo questa esperienza nella presentazione del nostro lavoro finale.
Per tutte queste ragioni riconosco anche l’alto valore pedagogico dell’euritmia. Ho presentato domanda per un ruolo di insegnante di euritmia e sono molto emozionata di fronte a questo nuovo passo.

Svenja Kerksen

Diplomi 2017: Nella differenza

Appena prima delle vacanze pasquali, quando ci giunse la richiesta di scrivere un articolo per “Auftakt”, l’atmosfera nella nostra classe era tesa al massimo. Il corso fino a quel momento ci aveva regalato momenti belli e molte conoscenze, proprio in un senso comunitario; quest’ultimo anno ci metteva ora in grande agitazione. Le richieste che il corso ci pone sono estremamente alte; siamo impegnati tutta la giornata, ma non riusciamo mai a fare tutto ciò che dovremmo. Una condizione frustrante. Dopo Natale crebbe in noi la convinzione di dover portare a termine tutto e ogni studente si è trovato spinto al limite della propria resistenza. Questo ha portato a confronti, intolleranze, impazienza e sospetti fra noi a cui non eravamo abituati.
Gli anni di studio ci hanno donato grandi trasformazioni, ci siamo sempre sforzati, e non di rado ci siamo sentiti sovraccaricati ma, benché fossimo al limite, ci è risultato chiaro per quel che viveva fra noi. A che cosa può servire? Che senso aveva portare gli studenti in quella situazione – non eravamo più al primo anno per penare così – oppure sarebbe stato meglio pretendere meno, ma lavorare in modo più sano e approfondito? Queste domande nascevano in quel momento, anche nello scambio con le euritmiste diplomate che ci aiutavano. Io non conoscevo la risposta, ammesso che ve ne fosse una chiara. Lo sguardo retrospettivo sull’ultimo trimestre, quando tutti volevano esprimersi, suscitò in me la domanda: “Come posso riconoscere il bello nella visione di un mio compagno e come posso mettermi a sua disposizione perché possa manifestarsi?” L’ideologia secondo la quale tutti noi dovremmo evolverci come uomini e diventare abbastanza buoni da volere tutti la stessa cosa, per seguire senza conflitti gli a stessi impulsi artistici, l’ho decisamente abbandonata durante quest’anno. E questo è bene secondo la mia attuale prospettiva, infatti ora più di prima riconosco che non è importante “evolvere” verso la medesima cosa, ma che solo dalla differenza, attraverso una individualità, può realmente nascere un’opera d’arte. L’essenza di una persona si mostra innanzi tutto nel modo in cui è diversa da me – imparare la socialità non può significare annullare le differenze, perché allora nessuno potrebbe evolversi verso se stesso.
La fine degli studi fu per me come un passaggio oltre il limite che io, oppure il mio gruppo, ci eravamo prefigurati. Si mostrò come in noi vi fosse molto di più di quanto sapessimo, di quanto riuscissimo a vedere, quando ci vennero prese tutte le forze e la voglia: posso arrivare più lontano di quanto avessi pensato. Posso ritrovarmi oltre quel limite, non in me e nella mia sicurezza, ma nell’istante inaspettato, scomodo e vulnerabile nel quale il mondo esterno diventa in effetti il mio mondo interiore. Così diventiamo realmente noi. Nella comunità ci siamo reciprocamente aiutati e insieme ci siamo esposti al caos, abbiamo abbandonato le comodità sociali, e ci siamo riconosciuti come singolarità. Probabilmente solo da quel momento siamo potuti diventare produttivi con l’euritmia. Questa è perlomeno la mia sensazione e io  la vivo come un grosso dono che questa formazione finora mi ha portato  e per questo sono grata a chi mi ha preceduto su questo cammino. È forse una delle esperienze originarie della formazione in euritmia: diventare un altro perché si diventa se stessi.

Franka Henn

Diplomi 2017: Un TU un IO un NOI

…una riflessione sull’essere di gruppo

Studiando euritmia impariamo a conoscere i più svariati mezzi artistici, a distinguere fra dionisiaco e apollineo, tra forze espressive delle consonanti e forze impressive delle vocali. Abbiamo la possibilità di farci sfiorare dalle entità dello zodiaco e dei pianeti. Mi sembra che il nostro piccolo sguardo sia inadeguato a un universo così vasto e profondo, e che non sia in grado di conoscerlo e penetrarlo realmente.
Questo studio è per me uno dei “misteri più aperti” del nostro tempo.
All’inizio dei miei studi, mi chiedevo spesso come l’uomo possa evolversi in senso spirituale. Un tempo credevo che il mio percorso dovesse svolgersi nella solitudine e nella più profonda contemplazione, volevo rimanere sola per lungo tempo, e intravedevo la mia salvezza nella meditazione orientale. Ma all’inizio dello studio mi accorsi subito che l’euritmia esige qualcosa di completamente diverso. Esorta l’IO! Vuole che le persone abbiano scambi fra loro, che divengano capaci di socialità.
Non vi è mai nessuna lezione di questo corso nella quale si possa stare da soli sulle proprie gambe. Vi è sempre un TU, che sia un docente, un altro studente oppure un interlocutore spirituale, cioè un brano musicale o una poesia. A me perlomeno è capitato così.
Se per un istante guardo indietro al mio gruppo, in quanto IO mi accorgo di poter riconoscere in ognuno di loro un TU; era così, perciò adesso vi riconosco un NOI.
Quel NOI è per me l’espressione della nostra entità di gruppo, è la fiducia di ogni IO nei confronti dello sconosciuto, inesprimibile TU.
Non significa però che fra noi non vi fossero differenze di opinioni, vi erano e non poche. Però c’era sempre qualcosa per cui NOI sapevamo: “NOI siamo sulla stessa barca”; NOI eravamo convinti che un solo punto di vista non potesse essere l’unica verità. Ogni angolo visuale da cui guardare uno stato di cose era per me una nuova prospettiva per la nostra entità di gruppo.
Proprio in questo momento sviluppiamo il NOI e cresce una fiducia nel “mondo spirituale comune”. Da allora questa fiducia mi sostiene sia nella realtà sociale, sia nel movimento d’insieme con il mio gruppo.
L’euritmia è per me un’entità che crea relazioni.
Con quest’arte abbiamo la possibilità di far incontrare le persone.
Infatti il NOI è per un gruppo forza dell’IO intensificata.

Christopher Kolmsee

L’essere umano – di Lea van der Pals

Gli dei crearono l’essere umano
donandogli la postura eretta
così da poter accogliere la forza
di parlare, di distinguere, di agire
affinché l’anima vivente compenetri il corpo
con vita, sentimento e coscienza.
Gli fu donato l’abito della bellezza,
la sorgente della ragione,
la forza dell’azione,
ed esso stava al centro del creato
quale sua creatura,
mandato sulla terra
scese nel mondo degli elementi,
e la forza del suo io lo compenetrò,
come un lampo.

Lea van der Pals

La consegna dei diplomi

Durante la settimana di aggiornamento ad Oriago, alla fine di giugno, l’AIE ha concluso il percorso triennale sull’euritmia pedagogica dalla III all’VIII.

Sono stati consegnati 15 diplomi da Donat Südhof, docente responsabile,  e da Maria Enrica Torcianti, presidente di AIE.

Per la chiusura della settimana le euritmisti e gli euritmisti partecipanti hanno rappresentato la fiaba I sette corvi dei fratelli Grimm, con la regia di Elisabetta Fusconi, un Impromptu di Schubert e un Ragtime suonati da Stefania Visentin.

 

 

 

 

 

 

Il percorso di formazione sull’euritmia pedagogica si rivolge a euritmisti attivi nelle scuole Waldorf in Italia, proponendosi questi obiettivi:

– Insegnamento di:

  • Contenuti delle lezioni per l’ euritmia della parola e musicale
  • Metodologia e didattica dell’insegnamento dell’euritmia
  • Punti di vista pedagogici e antropologici, anche in relazione al programma di studi generale delle scuole Waldorf per le classi 4-8

– Elaborazione concettuale della presentazione e della motivazione dell’insegnamento dell’euritmia nelle scuole Waldorf
– Potenziamento dello scambio reciproco e della collaborazione delle euritmiste in loco
– Costituzione di una rete per l’organizzazione/attuazione di approfondimenti e aggiornamenti futuri all’interno dell’AIE.

Il corso prevede circa sei incontri di approfondimento di 2-3 giorni ciascuno, suddivisi nell’arco di tre anni. Il lavoro si svolge attraverso conferenze e colloqui, l’elaborazione e riflessione in comune di esercizi per la preparazione meditativa delle lezioni e la presentazione metodico-didattica di contenuti per le lezioni.

Ogni incontro è dedicato a una singola classe, di volta in volta con i seguenti contenuti:

  • Metodologia e didattica, piano di studi e condivisione di materiale per le lezioni
  • Aspetti antropologici
  • Lavoro artistico euritmico in comune
  • Antroposofia ( concetti di base, arte dell’educazione, meditazione, evoluzione dell’arte)

La conclusione del ciclo triennale, con la consegna dei primi diplomi, è la conferma  di una strada intrapresa anni fa e un sostegno per proseguirla.

Un’arte giovane di cent’anni

All’inizio del XX secolo vi erano artisti e insegnanti di danza che tentavano di percorrere vie nuove nel movimento e nelle rappresentazioni sceniche. Sentivano come troppo rigide le forme del balletto classico e cercavano nuove espressioni per la loro creatività. Quell’impulso è legato ai nomi di Isadora Duncan, di Rudolf von Laban, di Mary Wigmann…

L’intento di Rudolf Steiner era diverso: “Può danzarlo?” domandò nel 1908 alla giovane pittrice Margarita Woloscin alla conclusione di una conferenza sul Prologo del Vangelo di Giovanni, sul passo in cui dice:”In principio era il Verbo…”. Steiner collegava il proprio impulso artistico alla forza spirituale della parola e alla natura umana distinta in corporea, animica e spirituale. Nei ricordi della sua vita Margarita Woloscin scrive che Rudolf Steiner con quella domanda pensava già all’euritmia – e a lei dispiaceva molto non averlo compreso.

Nel 1911 si presentò un’opportunità concreta: in un colloquio che Clara Smits ebbe con Steiner, lei gli parlò della propria figlia diciottenne, Lory, che nutriva il desiderio di iniziare una formazione in ginnastica o meglio ancora in danza. La madre non sembrava molto entusiasta di questa idea, ma chiedeva se non potessero essere risvegliate forze salutari nell’essere umano attraverso determinati movimenti. A questo poteva ora allacciarsi Rudolf Steiner. Si dichiarò felice di dare indicazioni e subito diede a Frau Smits i primi esercizi pratici per sua figlia.

Dietro le insistenze di Lory Smits che glielo chiedeva continuamente, Steiner già nel settembre del 1912 trovò il tempo per i primi insegnamenti. Presto divenne chiaro che la nuova arte non sarebbe stata solo una nuova danza: già nelle prime lezioni di euritmia Steiner disegnò una coreografia, che doveva aiutare bambini che soffrivano di vertigini. Già nelle sue origini nell’euritmia agivano insieme aspetti espressivi /scenici, pedagogici e terapeutici. L’ultimo giorno del corso si rifletté che questa cosa doveva anche avere un nome. Secondo i racconti dei presenti, fu Marie Steiner a esclamare spontaneamente “Euritmia” (in greco “Eu”= bello, aggraziato; “Rythmus”= movimento).

Mentre Lory Smits stessa esercitava ancora i nuovi movimenti, iniziò a insegnare euritmia a un gruppo di bambini. Incontrò così nuove compagne di strada: nella prima rappresentazione che ebbe luogo nell’agosto del 1913 a Monaco, già sei euritmiste presentarono la giovane arte. In seguito si sviluppò una vivace attività di corsi e di rappresentazioni. Le giovani euritmiste esercitavano ancora anche i nuovi elementi – e al tempo stesso insegnavano a bambini e ad adulti. Solo nel 1922 si unì al gruppo il primo uomo. Steiner accompagnò l’euritmia con intensa partecipazione. Ogni volta che era possibile pronunciava parole di introduzione alle rappresentazioni e durante le prove dava ulteriori suggerimenti.

Il 1919 fu un anno speciale per l’euritmia. Dopo quasi sette anni di intenso lavoro e molte rappresentazioni interne l’euritmia fu presentata al pubblico con spettacoli nel teatro di Zurigo e in quello di Winterthur. In breve tempo si susseguirono molti spettacoli pubblici. In prevalenza la nuova forma artistica fu accolta positivamente, anche se naturalmente vi furono anche voci critiche o di rifiuto. Quando ancora Steiner era in vita vennero organizzate in Svizzera e in Germania tournée che girarono tutta Europa, spesso riempiendo grandi teatri.

Nel 1919 alla fondazione della prima scuola Waldorf a Stoccarda, l’euritmia divenne una materia scolastica regolare.

L’euritmia nella scuola Waldorf

L’euritmia venne naturalmente integrata nell’organizzazione delle materie. Steiner dichiarò l’euritmia materia obbligatoria, un onore accordato solo ad essa. A una delle prime euritmiste diede questo singolare consiglio: “Se avete di fronte a voi uno scolaro che secondo voi ha fatto sei errori, per farmi piacere ditegli/fategli notare solo il settimo.” Problemi naturalmente ve ne furono. Per questo Steiner fu sempre il più possibile flessibile con l’euritmia: a un ragazzo che proprio non si riusciva a contenere durante l’insegnamento dell’euritmia, consigliò di lasciare che partecipasse all’ora di lezione disegnando quel che gli altri eseguivano euritmicamente.

Fino alla sua morte nel 1925, Steiner accompagnò con grande partecipazione la scuola Waldorf e l’insegnamento dell’euritmia ed era felice dei suoi progressi. Nelle conferenze di pedagogia che tenne in diverse località si espresse sempre in modo positivo sul tentativo di scuola e citò come naturale, ma anche di grande utilità nella sua azione nel piano di studi. Talvolta alcuni scolari lo accompagnarono nei suoi viaggi e mostrarono come avevano lavorato in euritmia.

Perché è irrinunciabile l’insegnamento dell’euritmia?

Che gli scolari di una scuola Waldorf sappiano danzare il proprio nome può anche non essere un obiettivo. In euritmia l’essere umano parla o canta non con la propria voce, ma rendendo strumento d’espressione la propria figura, il proprio movimento. Il contenuto, ma molto più ancora l’atmosfera dell’anima e le immagini interiori vengono plasmate in forme eseguite coscientemente e in gesti artistici. All’asilo e nelle prime classi si inizia con piccole storie animate nel movimento. I bambini assumono il carattere del singolo personaggio, si muovono come principesse o come l’orso o il cavallino. Attraverso svariati esercizi geometrici e di ritmo, gli allievi delle classi successive sviluppano in gesti e forme nello spazio le proprie capacità di movimento e di espressione. Nei brani, negli esercizi, ma anche nei movimenti propri e dei compagni educano la loro facoltà percettiva. L’euritmia contribuisce a formare una sensibilità è una consapevolezza musicale, linguistica ma anche sociale. Essa mette a disposizione un enorme repertorio di movimenti che può essere differenziato come il suono nel linguaggio nell’espressione creativa. Nelle classi superiori gli studenti sono in grado di lavorare in modo autonomo nel processo che va dalla scelta del brano fino alla messa in scena.

Di fronte ai genitori della prima scuola Waldorf Steiner illustrò una volta gli effetti dell’insegnamento dell’euritmia: “Così l’euritmia agisce sulla facoltà cognitiva e sulla volontà – nel senso della mobilità, della capacità di avere interessi e dell’autenticità – e sull’animo che si trova fra la capacità conoscitiva è quella volitiva. È così infinitamente importante che l’uomo euritmia andò si colga come un tutto, che egli non abbia il corpo da una parte e l’anima, lo spirito dall’altra”. Questi sono a tutt’oggi gli ideali più alti per l’insegnamento dell’euritmia: aiutare i bambini a sentirsi bene in se stessi, a rendere il loro corpo una “casa” adatta e appropriata per la loro anima. Di questo fa parte anche il collegamento fra conoscenza e manualità: quanto spesso risulta difficile ai ragazzi, ma anche a noi adulti, fare ciò che abbiamo conosciuto come giusto. Essere iniziativa per i nostri personali impulsi, ma anche per gli altri e per il mondo che ci circonda. Nell’occuparsi a fondo di un brano musicale o di una poesia, nel conquistare la propria possibilità espressiva e nell’utilizzo della creatività queste qualità possono essere esercitate nell’insegnamento dell’euritmia. Per quanto esercizio sia richiesto, per quante ripetizioni siano necessarie, per quanti accordi si debbano trovare (e mantenere), prima che un brano sia pronto per la scena. Questa è, collegata all’attività artistica, un’educazione della forza di volontà e di iniziativa.

L’euritmia in 100 anni

L’insegnamento dell’euritmia è ancora significativo e adatto ai tempi? Un gran numero di rappresentazioni, conferenze, pubblicazioni, ma anche eventi e video nell’anno del giubileo documentano come l’euritmia venga sperimentata in modi molteplici e consapevoli.

Per il futuro si delineano due tendenze. Per l’ulteriore sviluppo dell’euritmia sarà importante approfondirla comprendendola ed esercitandola – e al tempo stesso individualizzandola. Una serie di progetti attuali di ricerca e di publicizzazione dell’euritmia aiuteranno a superare le difficoltà di comunicazione nelle quali si trovano molti euritmisti. Con un corso di studi accreditato, riconosciuto dallo stato l’euritmia avrà ulteriori riconoscimenti sociali. Mette però a rischio la propria continuità, se non può più essere percepita come arte da palcoscenico. Infatti il reale approfondimento risiede nell’esercizio attivo, nel reciproco presentare e percepire del lavoro e nel comune sforzo di comprensione. Per questo però occorre un pubblico è un luogo in cui rappresentare – e in questo alle scuole Waldorf è attribuita una particolare responsabilità. Quanto articolata e vitale sia l’euritmia, lo hanno dimostrato negli ultimi mesi una serie di iniziative di allieve e di giovani euritmiste: persone giovani tentano di mostrare il loro accesso all’euritmia. Confini fra Stati e culture vengono qui superati.

Il gruppo brasiliano “Terranova euritmia” ha compiuto tre tournée internazionali. A Witten ha avuto luogo il nono Forum di euritmia: oltre 500 partecipanti da dodici nazioni, gruppi di allievi, di studenti, di gruppi artistici o di solisti per quattro giorni hanno mostrato gli uni agli altri quel che avevano elaborato. Nel “What moves you?” gli allievi hanno eseguito la Quinta sinfonia di Beethoven: in euritmia! Essi hanno formato un casting e d’estate eseguito le prove a Berlino. I giovani hanno lavorato con sette esperti coreografi euritmici. Infine hanno eseguito la loro rappresentazione con l’accompagnamento orchestrale nella scuola Waldorf di Kreuzberg.

Una serie di iniziative dalla Germania al Brasile dimostrano chiaramente che come più di cent’anni fa i giovani chiedono l’impulso dell’euritmia. L’euritmia è giovane di cent’anni.

Di Michael Leber e Matthias Jeuker

L’insegnamento nella scuola di oggi

L’euritmia aiuta il bambino a collegarsi pienamente con la terra. Gli sforzi che richiede sono molto grandi, come pure gli ostacoli che le si frappongono. Wolfgang Leonhardt, per lungo tempo medico scolastico a Pforzheim, approfondisce la necessità esistenziale dell’euritmia e auspica un alleggerimento nel lavoro degli insegnanti.

La nascita di un bambino è un evento che si svolge in due tempi. Dopo il parto, ne segue un secondo che chiamiamo “secondamento”, dove avviene l’espulsione della placenta e delle membrane. Negli ultimi decenni la fase di secondamento è stata sempre più al centro dell’interesse di una scienza spirituale dell’uomo e della natura. Si dimostra sempre più chiaramente, infatti, che tutta la formazione dell’embrione è guidata fin nei dettagli da questi organi che lo avvolgono e che, mentre cresce la sua autonomia, vanno riducendosi man mano fino alla nascita. Sappiamo dall’antroposofia che la placenta manifesta le forze formative superiori dell’io, l’entità cosmica superiore dell’essere umano. In tutte le antiche civiltà, e in parte ancor oggi presso le popolazioni primitive, lo si trova espresso in particolari usanze rituali legate al secondamento.

Un fattore culturale per la società

Se la scienza dello spirito non diventerà fattore culturale, alla fine del XX Secolo l’Europa arriverà alla barbarie. Così disse Rudolf Steiner precorrendo i tempi. In che situazione ci troviamo attualmente? E che significato ha per l’euritmia? L’euritmia è diventata un fattore culturale nell’arte?

Una discussione che si limitasse ai giudizi di fondo rispetto a questi temi sarebbe totalmente inutile. È necessario invece riconoscere che nel presente vi è un grande squilibrio fra vita culturale ed educazione da una parte ed economia dall’altra. Ma è assurdo lamentarsene: non si deve gridare “al fuoco”, bensì spegnerlo.

“L’angoscia animica del presente” – e il bisogno di superarla – ci appare in innumerevoli sintomi. Nel 1924, ad Arnheim, Rudolf Steiner disse ai giovani: “Il mondo va riedificato dalle sue fondamenta”. Sono parole ch conservano tutta la loro attualità e radicalità.

Come può riuscire un’arte relativamente giovane quale è ancora l’euritmia in questo difficilissimo esercizio di equilibrio: inserirsi in un mondo economicizzato – sebbene stenti a mantenersi in vita – senza offuscare o addirittura perdere il proprio impulso spirituale?

Il mondo è il risultato di equilibri. L’euritmia deve riuscire a proporsi come elemento che crea equilibrio. Per questo sono necessari due elementi: un interesse ampio per l’arte del presente (quella non antroposofica) da un lato e un approfondimento spirituale sempre più ricco da parte dei singoli euritmisti ed euritmiste dall’altro.

Da alcuni anni si osserva il fenomeno opposto: tranne alcune eccezioni, l’euritmia si è relativamente isolata all’interno della scena artistica. E l’approfondimento antroposofico ha luogo solo in alcuni o viene sostituito da surrogati. Anche nei collegi delle scuole Waldorf diminuisce la comprensione per l’euritmia.

Quando fra il 2012 e il 2013 partecipai alla Commissione per la scuola del Parlamento tedesco, ebbi modo di osservare che il concetto di educazione in Germania si era ristretto a quello di qualificazione professionale. Si prendevano in esame esclusivamente i problemi legati agli stipendi, al personale, alla comparazione delle qualifiche, non però le questioni riguardanti la qualità dell’educazione. Se ne discuteva tutt’al più nelle pause, o bevendo un caffè, nelle conversazioni private. E benché vi fosse un profondo desiderio di considerare l’uomo come un essere complesso e di orientare l’educazione secondo quest’immagine a tutti i livelli, piuttosto che sulle richieste del mercato del lavoro, tale impulso non trovava poi alcun sostegno concreto.

Da dove possiamo trovare, noi euritmisti ed euritmiste, tale sostegno? Vorrei indicare qui tre motivi, benché sicuramente se ne possano individuare altri.

Il primo motivo è che la nostra anima si amplia se ci poniamo di fronte all’arte del presente e al tempo stesso lavoriamo al nostro approfondimento spirituale. Da questa apertura (talvolta non priva di sofferenza) nasce l’esigenza di una collaborazione con gli altri autentica, seria, sincera, perché ben presto ci si accorge che da soli non si va molto lontano. Quando questa necessità viene posta con tutta la sua forza, il desiderio di un incontro potrà trovare una risposta in quello che Rudolf Steiner chiamava “culto rovesciato”: “Risvegliarsi allo spirituale-animico dell’altro uomo”. Questa è un’arte somma. Nient’altro mi sembra abbia pari importanza per l’euritmia oggi quanto questo motivo. Andrebbe elaborato addirittura un canone dell’incontro.

Il secondo motivo scaturisce dalla domanda su quali strade seguano gli impulsi spirituali del presente. L’approfondimento spirituale dei singoli, come ricordavamo prima, ne costituisce la naturale premessa, il mutamento della nostra percezione e del processo conoscitivo il necessario fondamento. Con ogni nuovo essere umano arrivano nel mondo nuovi impulsi spirituali. Quando siamo davanti a lui, siamo di fronte al mondo spirituale in una forma relativamente pura. Se non prendiamo sul serio un giovane, respingiamo anche gli impulsi che egli porta con sé.

Quando la gioventù si ribella, è il mondo spirituale a ribellarsi in ogni giovane uomo, dice Rudolf Steiner, e se non prendiamo sul serio i problemi dei giovani, se non li consideriamo impulsi cui dare forma, quei problemi si trasformeranno in istinti di potere.

Il terzo motivo si potrebbe definire forza dell’equilibrio. Rudolf Steiner ci indica come l’essere umano a ogni passo, a ogni movimento delle braccia, vinca il peso terrestre e come lì agisca una forza inconscia che mette in relazione le forze che operano interiormente con quelle della gravità.

Nell’euritmia vive la forza dell’equilibrio, un “occultismo igienico”: in un mondo spaccato “nel quale l’uomo non riconosce più l’Altro”, l’euritmia è quindi capace potenzialmente di creare pace a ogni livello. Per questo deve entrare nel mondo attuale, nei punti critici, nelle zone problematiche – da uomo a uomo, nei rapporti di tensione fra l’anima e la terra, nelle tendenze alla divisione della nostra società. Deve misurare con autocritica l’efficacia raggiunta in questi ambiti. E intervenire così anche sui temi e i contenuti dei conflitti sociali.

Oltre a una presenza sempre più organica nella nostra società attuale, lo studio dell’euritmia deve percorrere strade nuove, inserita come “metodo di studio” nel curriculum e nel corso di studi di ogni studente, non importa di quale facoltà. Oggi sarebbe necessario inoltre un lavoro dialogico cosciente sull’educazione della fantasia. Quel che un tempo era scontato, ora spesso non lo è più. Non vi è alcun ritorno a un Paradiso perduto, vi è solo una strada che va persorsa, come descrive Heinrich von Kleist nel suo saggio Über das Marionettentheater (“Sul teatro delle marionette”). Di fronte a noi vi è l’impegno di elevare a coscienza vivente cose che prima erano ben racchiuse nell’inconscio, pur senza essere soffocate del tutto. Molte persone cercano l’euritmia, ma non riescono a trovarla. La nostra capacità di dialogo è il presupposto per agire con una funzione equilibratrice. “Il risveglio nello spirituale-animico dell’Altro”: qui risiede forse il più grosso potenziale di crescita dell’umanità. Un potenziale che è ancora in gran parte da scoprire. L’euritmia quale arte cristico-dialogica nel senso migliore vive per propria natura in questo elemento. E proprio qui nella cultura dell’accordo e dell’equilibrio risiede la sua forza creatrice di pace – ma solo se in noi, euritmisti ed euritmiste, vive l’apertura e la disponibilità alla trasformazione fin nel nostro stesso Io.

Che cos’è l’euritmia

Danza, pittura, disegno, musica, poesia… sono arti e talenti che tutti conoscono. Ben diverso è il caso dell’euritmia, arte giovane, ancora poco nota. Eppure tutte le racchiude in sé, rende visibili pensieri e musiche, li porta in forme e movimenti…

Rudolf Steiner sviluppò le prime basi dell’euritmia all’inizio del XX secolo. Sulla base della sua concezione di uomo, trasformò la figura umana e la sua inesauribile capacità di movimento in uno strumento di rappresentazione. Attraverso l’euritmia le leggi del linguaggio e della musica vengono tradotte in movimenti visibili.